Luglio 16, 2023 0 Comments Fratelli di Vino

Rabbioso ?  No, raboso…di bontà

“Siamo tutti nel fango, ma alcuni di noi guardano le stelle”  (Oscar Wilde)

Scusate il ritardo, come direbbe il grande Troisi, ma le vicende della vita sono imprevedibili e, spesso, non lasciano tempo alle poche cose buone che le danno un senso. Basta così. Torniamo a noi, alla nostra passione, il vino.

L’uva e il vino di cui intendo parlare è il raboso piave. Uva, come spesso capita, dalle misteriose origini. Le più antiche testimonianze provengono da alcuni archivi dei comuni in provincia di Padova, ma ampelografi di chiara fama come il Di Rovasenda indicano la presenza di quest’uva in una vasta area compresa fra l’Istria e la sponda sinistra del fiume Piave già intorno al 1700, il che darebbe una spiegazione e base concreta alla seconda parte del nome.

Sul termine raboso vi sono varie ipotesi ma la più accreditata è quella che lo fa derivare dalle caratteristiche specifiche del vitigno, ossia l’alto contenuto in  acidi e tannini che provocano un forte  e a volte disturbante impatto in bocca da definirlo “rabbioso”, in dialetto  raboso. Tali caratteristiche rendono probabile la sua discendenza  dalle viti selvatiche diffuse nella pianura trevigiana-veneziana.

Il vitigno è stato registrato nel R.N.V. nel 1970 ed è diffuso maggiormente nella pianura trevigiana lungo il corso del fiume Piave, dove rientra nei due disciplinari e denominazioni di maggiore rilevanza sia produttiva che qualitativa, ovvero la DOC Piave Raboso e la DOCG Piave Malanotte o Malanotte del Piave.

A dire il vero e per senso di completezza bisogna menzionare un’altra uva, il raboso veronese, che rientra nelle due denominazioni per un’aliquota massima del 15%. Nonostante metà del nome in comune, in realtà i due vitigni hanno poco di simile, eccetto la diffusione in provincia di Treviso e la predilezione per i terreni di pianura di natura sedimentosa-alluvionale (in loco chiamato caranto) come sono i terreni intorno al fiume Piave.

I grappoli del raboso veronese sono spargoli e in genere maturano più tardi rispetto al fratello “maggiore” e, ancor più importante, la tannicità e l’acidità sono di gran lunga meno “aggressive”.

Queste caratteristiche lo hanno reso utile per l’uvaggio dei due vini del Piave in quanto il raboso veronese può con il suo 15% smussare le durezze (acidi e tannini) del raboso piave.

Tuttavia negli ultimi anni è prevalsa la tecnica dell’appassimento di una quota delle uve (max 30%), come fra l’altro stabilito e permesso nella DOCG Malanotte del Piave, oltre alla raccolta dell’uva in fase di surmaturazione, in modo da “ingentilire”,  “ammorbidire” le caratteristiche del vitigno realizzando un vino di grande struttura, robusto e alcolico, una sorta di  risposta trevigiana all’Amarone della Valpolicella di marca veronese.

In riferimento a quanto appena detto credo che queste due denominazioni a base di raboso piave e specialmente la DOCG daranno in futuro del filo da torcere al più famoso e conosciuto Amarone, e ciò per tre ordini di motivi: il primo, come già si può evincere dalla mia degustazione, è l’aumento progressivo, anno dopo anno, della qualità di questo vino; il secondo, è un vino che, grazie alle qualità dell’uva raboso, può sfidare il tempo e reggere il confronto, da questo punto di vista, con i più famosi Barolo e Brunello; il terzo, che non guasta mai di questi tempi, un rapporto qualità-prezzo assolutamente competitivo.

Arriviamo ora alla degustazione, svolta in diverse date, di ben sei vini a base 100% di raboso piave, sia nella versione DOC che nella versione DOCG, con le aziende in ordine alfabetico:

BONOTTO DELLE TEZZE –   Malanotte del Piave 2018 – alc. 15% – (convenzionale)

Come da disciplinare il 30% delle uve sono fatte appassire, il vino matura e si affina ben 36 mesi in botte grande. Classico rubino profondo. Incipit di frutta scura in confettura, seguita da una scia di spezie contornate da sentori fungini e di tabacco scuro. Imponente gustativa, materica, mai stancante grazie all’equilibrio fra le parti. Buonissimo. Eccellente. Voto: 93

CA’ DI RAJO  –  Piave   Malanotte  Notti di luna piena 2015 – alc. 14% – (convenzionale)    

Una menzione a parte merita questa azienda perché è una delle poche se non l’unica ad utilizzare come forma di allevamento della vite una autentica meraviglia, la bellussera, creata dai fratelli Bellussi sul finire del 1800 e in auge sino agli ’50-’60 del secolo scorso, abbandonata, come nel resto d’Italia, per i sistemi a spalliera (guyot, cordone speronato). In realtà si sta dimostrando, con i cambiamenti climatici in corso, all’altezza della situazione, come si dice il futuro ha un cuore antico. Il vino da uve appassite viene fatto maturare in barriques per 24 mesi, mentre quello da uve surmature riposa per ben 36 mesi in botte grande. Cupo granato. Profumi densi e intensi di frutti di bosco, subito inseguiti dalle spezie scure (chiodi di garofano, anice stellato). Gustativa di grande piacevolezza quasi cioccolatosa, tannini setosi. Lunga persistenza. Eccellente. Voto: 92

CASTELLO DI RONCADE  –  Piave Raboso dell’Arnasa 2017 – alc. 13,5%  (a basso impatto ambientale)  

Trentasei mesi in botte grande di rovere e sei mesi in bottiglia. Stupendo rubino tendente al granato. Confettura di frutti di bosco che cede ai profumi scuri delle spezie (pepe nero, chiodi di garofano) e delle erbe aromatiche (alloro). Gustativa ottima con tannini in divenire. Persistente. Ottimo. Voto: 89

CECCHETTOPiave Malanotte  Gelsaia 2017  – alc. 15%   (a  basso impatto ambientale) 

Il 15% delle uve vengono appassite per 35 giorni, 12 mesi di maturazione in tonneaux e parte in barriques sia nuove che usate, infine 10 mesi in bottiglia. Rubino denso e meraviglioso. Olfazione tanto intensa quanto complessa dove le spezie e le confetture la fanno da padrone, lunga scia tostata. Gustativa in perfetto equilibrio tra alcol e zuccheri da una parte e acidi e tannini dall’altra.  Persistenza infinita. Eccellente. Voto: 93

DE STEFANI –  Malanotte del  Piave 2017  –   alc. 15%   (biodinamica)

Trentasei mesi in barriques e diciotto mesi in bottiglia. Profondo rubino. Stupendo fruttato di confettura di ciliegia contornato da cioccolato, pepe nero, tabacco da pipa e cuoio. Gustativa impressionante per piacevolezza ed equilibrio: tutto al posto giusto. Lunghissima persistenza. Eccellente. Voto: 91

SUTTOWINEPiave  Raboso 2019 – alc. 13%     (convenzionale)

Venti mesi in botte grande. Un Piave Raboso sostanzialmente diverso da tutti gli altri degustati. Più leggero, non solo dal punto di vista dell’alcol ma nell’insieme degli elementi  che lo compongono. Probabile scelta del produttore in prospettiva di una clientela più easy e giovanile dove in genere è preferita questa tipologia di vino. Comunque sia, è un gran bel vino dove si ritrovano le basilari caratteristiche del raboso, ossia frutta nera (marasca, mirtilli) e spezie a iosa. Buon equilibrio, piacevole e persistente alla gustativa. Ottimo. Voto: 90

Nulla da aggiungere se non…alla salute, fratelli !


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