Ottobre 5, 2016 0 Comments Fratelli di Vino

Etna Rosso, il vino del fuoco

 

“Il coraggio è la prima delle qualità umane, perché è quella che garantisce tutte le altre”

(W. Churchill)

 

Quando quindici anni or sono venni a conoscenza dell’esistenza di vigneti, e di conseguenza di vini, sulle pendici del più grande e affascinante vulcano d’Europa, l’Etna, rimasi stupito e incredulo.

scan: Ming 8200 retouch: Findley 35mm orig. photographer: Carsten Peter

photographer: Carsten Peter

Non solo per la possibilità che su terreni di lava si potesse impiantare la vitis vinifera quanto per la durezza e la quantità di lavoro che non può non contraddistinguere l’attività agricola  su tali terreni, esposti  alle intemperie della natura come pochi altri posti in Italia,  senza dimenticare  le eruzioni pressoché continue e le relative colate di lava, le quali sovrapponendosi hanno mutato e mutano tutt’ora la composizione chimica  e la struttura degli elementi del terreno su cui viene impiantata la vite.

Si, bisogna dirlo senza mezzi termini, ci vuole coraggio, tanto coraggio per coltivare la vite e produrre vini in questi luoghi e in queste condizioni, ma senza coraggio, come affermò il grande statista inglese W. Churchill e, aggiungo,  ancor più una grande passione, non si arriva da nessuna parte.

In questi ultimi anni i vini dell’Etna, specie il rosso dell’Etna di cui parleremo, hanno raggiunto grande fama e un pubblico di fans di assoluto rilievo nazionale ed internazionale. Successo meritato ?  Indubbiamente.

Quando due anni fa scrissi l’articolo sui vini dolci della Sicilia parlai di questa regione come di regione “nata” per fare vino, simbolo assoluto del Mediterraneo, luogo principalmente vocato alla coltivazione della vite, vedendo in questa tipologia di vini l’essenza stessa della regione Sicilia. Ovviamente sapevo, come so tuttora, che la Sicilia produce grandi quantità di vino oltre ad un’infinità varietà ma, come è stato già detto prima di me, i vini dell’Etna sono una cosa a parte, proprio perché l’Etna  “è  un’isola nell’isola”, è un unicum.

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L’unicum dell’Etna, e di conseguenza dei suoi vini, è rappresentato prima di tutto dalle grandi differenze climatiche che esistono, non solo con il resto dell’isola, ma fra una zona e l’altra del vulcano, e in un caso tali “differenze” (non solo climatiche) hanno comportato l’esclusione del versante ovest  dalla coltivazione della vite per le relative “avversità” pedoclimatiche.

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Naturalmente tali differenze climatiche fra le varie zone, nonché la natura dei terreni, la loro esposizione solare e l’altimetria (dai 500 m ai 1.000 m  s.l.m.), hanno determinato da parte dei viticoltori la necessità di scegliere, fra i vari vitigni a disposizione, quelli particolarmente adatti al terreno etneo,   in grado di  “resistere”  agli sbalzi della temperatura, specie durante la primavera nel versante nord del vulcano,  alla assenza o scarsità di pioggia oppure, al contrario, ad un eccesso di pioggia durante l’autunno, proprio nel periodo della vendemmia tanto da poter inficiare non solo la qualità dell’uva ma la possibilità della raccolta stessa.

Altro aspetto dell’unicum e dal grande fascino sono i  “terrazzamenti”, fatti con muri a secco, ovviamente, di pietra lavica: solo nelle Cinque Terre in Liguria o in Valtellina in Lombardia si possono trovare opere simili per grandezza e per bellezza. Opere che mostrano non solo la fatica disumana occorsa per realizzarle ma la “sfrontatezza” dell’uomo nel volere “piegare” la natura selvaggia e inospitale alle sue esigenze, ai suoi bisogni.

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E’ bene sottolineare un altro aspetto che contrassegna la viticoltura etnea dal resto della Sicilia:  la “mancata” invasione dei vitigni internazionali.

Grazie soprattutto alle peculiarità pedoclimatiche ma anche ad una precisa scelta dei vigneron locali di puntare sui vitigni autoctoni, fa si che  l’aspetto gusto-olfattivo dei vini  assuma  peculiarità che li fanno emergere e distinguere dal cosiddetto “gusto internazionale”.

I vitigni che si coltivano sulle pendici dell’Etna sono tanti ma alcuni di essi come il nerello mascalese, il nerello cappuccio, l’alicante, il carricante e la minnella hanno raggiunto un particolare adattamento al suolo vulcanico ma soprattutto producono, grazie alla laboriosità e all’ingegno dei vignaioli, vini di grande livello e di spiccata personalità tanto da renderli affatto differenti dai vini rossi e bianchi di altre zone della Sicilia, come quelli delle provincie di Palermo, Trapani e Agrigento.

Come vedremo nella degustazione gli aspetti minerale e balsamico emergono in modo prorompente,  caratteristica determinata dalla composizione dei suoli e dall’altimetria.

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Nel versante nord del vulcano, specie nei territori di Randazzo e nelle varie contrade di Castiglione di Sicilia (Passopisciaro, Rovitello, Solicchiata), la qualità dell’Etna Rosso raggiunge spesso il picco della maggiore qualità, ma non di meno,  almeno a mio personale giudizio, sono alcuni “fratelli” del lato sud-est del vulcano, ad esempio i vini prodotti nelle zone di Viagrande e Trecastagni. Ciò che rimane indubbio, invece, è la qualità dell’Etna Bianco, prodotto quasi sempre in purezza ossia 100% di uva carricante, che ha trovato il suo habitat ideale nel versante est del vulcano, in primis nelle contrade di Milo, paesino di mille abitanti a circa 700 m s.l.m., dove si produce, anche questo un unicum, l’Etna Bianco nella versione “superiore” ( e lo è in tutti i sensi).

Tornando a noi, all’Etna Rosso,  il sistema di allevamento, in particolare del nerello mascalese, è quello tradizionale ad alberello, dai costi elevati di lavorazione come ben si può immaginare, dato che la manodepera scarseggia e tutta la lavorazione è fatta a mano, ciò spiega anche i prezzi dei vini etnei mediamente più alti se confrontati con vini di pari qualità.

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La questione è che la più “economica” controspalliera non ha dato, sinora, buoni risultati da un punto di vista qualitativo, a quanto pare le uve provenienti da vigne ad alberello risultano più ricche di sostanze che compongono la “struttura del vino” dando, di conseguenza, una superiore qualità organolettica complessiva.

Insomma nella solita battaglia fra costi e qualità, che penalizza non poco i vigneron etnei, ancora una volta con coraggio essi hanno optato per la seconda.

Il disciplinare di produzione dell’Etna Rosso stabilisce che deve essere realizzato con un minimo di 80% di nerello mascalese e un massimo di 20%  di nerello cappuccio. Questa scelta non appare causale perché riesce ad amalgamare in modo ottimale quelle che sono le caratteristiche principali e complementari dei due vitigni: eleganza e profumi da una parte, colore e capacità di invecchiare dall’altra.

Passiamo ora alla degustazione, che è avvenuta in un lasso di tempo piuttosto ampio, oltre un anno, ed ha riguardato 7 vini di 7 aziende diverse.

 

Etna Rosso Arcurìa 2013, gr. 14,5%, azienda GRACI (Castiglione di Sicilia – c.da Passopisciaro-Arcurìa). Il vino prodotto con nerello mascalese in purezza si presenta con un colore rosso rubino, con profumi che dal floreale (rosa)  passano alle erbe aromatiche di montagna (timo) per poi virare decisamente su note minerali e balsamiche. Tannini di seta, persistente e intenso.

Voto: 91/100.

 

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Etna Rosso Archineri 2013, gr. 14%, azienda PIETRADOLCE (Castiglione di Sicilia – c.da Solicchiata).  Il vino prodotto con nerello mascalese in purezza è di un bella tonalità di rosso rubino, floreale (geranio) con evidenti note di terra bagnata e di funghi e delicato contorno di erbe aromatiche. Persistente, fine, con tannini ancora in evidenza, gustosa sapidità.

Voto: 88/100

 

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Etna Rosso Serra della Contessa 2011, gr. 14%, azienda BENANTI (Viagrande). Rosso rubino, frutta rossa in confettura, rosa, minerale tipico, pepe. Ottima struttura complessiva, piacevole sapidità, tannini in divenire,  grande vino in prospettiva.

Voto: 89/100

 

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Etna Rosso ‘A Rina 2013, gr. 14%, azienda GIROLAMO RUSSO (Castiglione di Sicilia c.da Passopisciaro). Un bel rubino che apre ad un quadro olfattivo di estrema eleganza e finezza dove la viola e la ciliegia la fanno da padroni, continua con una nota di pepe e di caffè, prosegue con sentori minerali tipici e sottobosco. Intenso e molto  persistente alla gustativa, tannini nobili.

Voto: 93/100

 

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Etna Rosso Feudo di Mezzo – Il Quadro della Rosa 2009, gr. 14%, azienda TENUTA DELLE TERRE NERE (Randazzo). Rosso rubino che tende al granato, con delicati profumi floreali di rosa e viola, confetture di ciliegia e mirtillo. Minerale e speziato. Gran struttura, saporito e gustoso. Tannino di riguardo. Persistente.

Voto: 90/100

 

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Etna Rosso Cisterna Fuori 2012, gr. 13,5%, azienda VINI BIONDI  (Trecastagni). Rosso rubino luminoso, fruttato e floreale ma soprattutto balsamico (resina, aghi di pino) e minerale. Saporito e tannico. Un bel vino con un gran futuro.

Voto: 88/100

 

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Etna Rosso Vinupetra 2006, gr. 14%, azienda I VIGNERI (Randazzo) . Una piccola nota, ho potuto bere e degustare questo magnifico vino a casa di amici di origine siciliana e ne rimasi profondamente colpito tanto da appuntarmi le valutazioni che seguono. Rosso granato vivo, frutta surmatura di bosco (mirtilli, ribes, more), rosa marcita, speziato (cannella, noce moscato), erbe aromatiche (origano). Tannini di classe, setosi. Molto intenso e persistente. Un fuoriclasse.

Voto: 94/100

 

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Che dire ?  Sono contento e un po’ imbarazzato. Contento per la qualità dei vini bevuti con autentico godimento, imbarazzato perché raramente mi è capitato di dare voti mediamente così alti ad una tipologia di vino. Chi mi conosce sa che non è facile per me dare voti alti, ma non ho potuto farne a meno.

Auguro ai vini e agli uomini dell’Etna un grande futuro, lo meritano come altri, forse un tantino di più per tutto quello che comporta fare vini in luoghi così difficili quanto belli.

Alla salute, fratelli.


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